STREGHE
La madre di Giacomo Stuart fu la celebre Maria di Scozia, morta decapitata dopo vent’anni trascorsi in carcere. In un’ottica freudiana basterebbe questo trauma familiare a giustificare l’ossessione che il re di Scozia e d’Inghilterra ebbe per le streghe.
E sia… passi pure l’ossessione; anche se la psicoanalisi, per dirla con Josif Brodiskij, «con il suo indice accusatore gira a 360 gradi in cerca di qualcuno da incolpare», onestamente ha parecchio stufato. Ciò che non perdoniamo a Giacomo Stuart è il disprezzo per le streghe.
Nel 1597 fece pubblicare Demonologia, un’opera che scrisse in tre libri in forma di dialogo, dove l’argomento predominante è la stregoneria in ogni sua variante e pratica. Laddove ai negromanti, e in generale agli uomini che si interessavano all’occulto, egli riconosceva l’ardore della hybris o addirittura il nobile proposito di spingere la propria conoscenza oltre i limiti comuni, nel libro le streghe sono trattate come soggetti del tutto passivi nelle mani del Diavolo. Streghe per passività, non per scelta, o per allucinazioni da droga, come aveva invece suggerito una ventina di anni prima Joahnn Weir, autore del De praestigiis daemonium et incantionibus.
Fortunatamente uno dei privilegi della letteratura è quello di rendere utili anche gli errori degli uomini: infatti Demonologia finì per influenzare l’estro di Shakespeare e del suo rivale, Christopher Marlowe, ai quali dobbiamo le più conturbanti e affascinanti figure femminili mai state scritte. Thank you, Jack.
FACCENDE DOMESTICHE
Nata da una violenza sessuale e rifiutata dalla madre, maltrattata dai fratelli, epilettica, bullizzata a scuola a causa dell’aspetto mascolino, Leonarda Cianciulli, prima di passare alle cronache come la Saponificatrice di Correggio, sopravvisse al terremoto d’Irpinia, emigrò dalla provincia di Avellino a Correggio, rimase incinta 17 volte, divenne madre 4 volte, si sposò, allontanò il marito, collezionò amanti, fu fascista per tutta la vita. Assassina seriale e intimamente votata al risparmio, delle proprie vittime non buttava via niente: come Mrs Lovett del film Sweeney Tood, essiccava e macinava il loro sangue, per poi impastarlo con zucchero, spezie, farine e farne croccanti biscotti; come Tyrell Durden di Fight Club, miscelava il grasso umano con la soda caustica per produrre saponi, che poi regalava a vicini e amici.
In un delirio di lucida violenza, la vita della saponificatrice di Correggio dà la misura di quanto la realtà riesca a superare la fantasia, addirittura anticipandola, fa decadere la reticenza che prima abbiamo espresso nei confronti della psicoanalisi, e testimonia come i mestieri domestici, talvolta, possono diventare una faccenda maledettamente seria.
RISO (AMARO)
Se dovessimo prendere per vero il detto per cui “Il riso abbonda sulla bocca degli stolti” avremmo una rivelazione: la storia, per lo meno quella di cui abbiamo testimonianza, è fatta da donne intelligentissime. Già, perché di donne sorridenti la storia, quella con la S maiuscola, quella iconografica e istituzionale tanto per intenderci, ne ha conservate pochissime. A pensarci bene la pratica del riso è una conquista femminile piuttosto recente.
In poesia il candore delle perle con cui Petrarca paragonava il sorriso della donna amata era direttamente proporzionale all’innocenza dell’eloquio di Laura, e con ogni probabilità inversamente proporzionale alla frequenza con cui ella mostrava i denti in pubblico.
In pittura le bocche delle donne presero a schiudersi addirittura più tardi, nel Seicento; basti pensare alla celebre Ragazza col turbante di Veermer, ritenuta scandalosa dall’allora protestantissima Olanda a causa del sorriso ammiccante, sia pure soltanto accennato, che lascia intravvedere l’interno della bocca.
Nel cinema si dovette assistere alle smorfie malinconiche di Lilian Gish e alle labbra serrate di Louise Brooks – dalla quale non a caso la Valentina di Crepax ereditò il caschetto anziché il sorriso – prima di potere ammirare le esplosioni piene di denti e pathos di Gloria Swanson o di godere delle risate di Greta Garbo. Proseguendo sul crinale della semplificazione non sarebbe in fondo scorretto concludere che il riso è stato appannaggio esclusivo di stolti e prostitute praticamente fino all’altro ieri.
Vincitrice di un meritatissimo Oscar come Miglior Attrice Protagonista per la pellicola “Tre manifesti a Ebbing, in Missouri”, Frances MacDormand ha attirato l’attenzione dei media presentandosi alla premiazione struccata e invitando tutte le donne candidate presenti in sala a alzarsi in piedi per condividere simbolicamente la vittoria. Stupisce che nessuno abbia dato troppa importanza alla sua vitale, sgraziata e incurante risata, perché, se è vero che tecnicamente l’attrice ha rilasciato endorfine e ha aumentato il numero delle proprie cellule produttrici degli anticorpi (sì, fra i giovamenti del riso c’è anche questo), noi sappiamo che Frances MacDorman, con quella fragorosa risata, ha fatto molto di più.
Bibliografia:
Iosif Brodiskij, Conversazioni, a cura di C. L. Haven, traduzione di M. Campagnoli, Milano, Adelphi 2015.
Rosa Luxemburg, Lettere 1893-1919, a cura di L. Basso e G. Bonacchi
John Berger, Confabulazioni, a cura e traduzione di M. Nadotti, Vicenza, Neri Pozza, 2017.
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