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giovedì 8 marzo 2018

Elogio di 6 luoghi comuni sulle donne (Parte 1)

STREGHE
La madre di Giacomo Stuart fu la celebre Maria di Scozia, morta decapitata dopo vent’anni trascorsi in carcere. In un’ottica freudiana basterebbe questo trauma familiare a giustificare l’ossessione che il re di Scozia e d’Inghilterra ebbe per le streghe.
E sia… passi pure l’ossessione; anche se la psicoanalisi, per dirla con Josif Brodiskij, «con il suo indice accusatore gira a 360 gradi in cerca di qualcuno da incolpare», onestamente ha parecchio stufato. Ciò che non perdoniamo a Giacomo Stuart è il disprezzo per le streghe.
Nel 1597 fece pubblicare Demonologia, un’opera che scrisse in tre libri in forma di dialogo, dove l’argomento predominante è la stregoneria in ogni sua variante e pratica. Laddove ai negromanti, e in generale agli uomini che si interessavano all’occulto, egli riconosceva l’ardore della hybris o addirittura il nobile proposito di spingere la propria conoscenza oltre i limiti comuni, nel libro le streghe sono trattate come soggetti del tutto passivi nelle mani del Diavolo. Streghe per passività, non per scelta, o per allucinazioni da droga, come aveva invece suggerito una ventina di anni prima Joahnn Weir, autore del De praestigiis daemonium et incantionibus.
Fortunatamente uno dei privilegi della letteratura è quello di rendere utili anche gli errori degli uomini: infatti Demonologia finì per influenzare l’estro di Shakespeare e del suo rivale, Christopher Marlowe, ai quali dobbiamo le più conturbanti e affascinanti figure femminili mai state scritte. Thank you, Jack.

FACCENDE DOMESTICHE
Nata da una violenza sessuale e rifiutata dalla madre, maltrattata dai fratelli, epilettica, bullizzata a scuola a causa dell’aspetto mascolino, Leonarda Cianciulli, prima di passare alle cronache come la Saponificatrice di Correggio, sopravvisse al terremoto d’Irpinia, emigrò dalla provincia di Avellino a Correggio, rimase incinta 17 volte, divenne madre 4 volte, si sposò, allontanò il marito, collezionò amanti, fu fascista per tutta la vita. Assassina seriale e intimamente votata al risparmio, delle proprie vittime non buttava via niente: come Mrs Lovett del film Sweeney Tood, essiccava e macinava il loro sangue, per poi impastarlo con zucchero, spezie, farine e farne croccanti biscotti; come Tyrell Durden di Fight Club, miscelava il grasso umano con la soda caustica per produrre saponi, che poi regalava a vicini e amici.
In un delirio di lucida violenza, la vita della saponificatrice di Correggio dà la misura di quanto la realtà riesca a superare la fantasia, addirittura anticipandola, fa decadere la reticenza che prima abbiamo espresso nei confronti della psicoanalisi, e testimonia come i mestieri domestici, talvolta, possono diventare una faccenda maledettamente seria.

RISO (AMARO)
Se dovessimo prendere per vero il detto per cui “Il riso abbonda sulla bocca degli stolti” avremmo una rivelazione: la storia, per lo meno quella di cui abbiamo testimonianza, è fatta da donne intelligentissime. Già, perché di donne sorridenti la storia, quella con la S maiuscola, quella iconografica e istituzionale tanto per intenderci, ne ha conservate pochissime. A pensarci bene la pratica del riso è una conquista femminile piuttosto recente.
In poesia il candore delle perle con cui Petrarca paragonava il sorriso della donna amata era direttamente proporzionale all’innocenza dell’eloquio di Laura, e con ogni probabilità inversamente proporzionale alla frequenza con cui ella mostrava i denti in pubblico.
In pittura le bocche delle donne presero a schiudersi addirittura più tardi, nel Seicento; basti pensare alla celebre Ragazza col turbante di Veermer, ritenuta scandalosa dall’allora protestantissima Olanda a causa del sorriso ammiccante, sia pure soltanto accennato, che lascia intravvedere l’interno della bocca.
Nel cinema si dovette assistere alle smorfie malinconiche di Lilian Gish e alle labbra serrate di Louise Brooks – dalla quale non a caso la Valentina di Crepax ereditò il caschetto anziché il sorriso – prima di potere ammirare le esplosioni piene di denti e pathos di Gloria Swanson o di godere delle risate di Greta Garbo. Proseguendo sul crinale della semplificazione non sarebbe in fondo scorretto concludere che il riso è stato appannaggio esclusivo di stolti e prostitute praticamente fino all’altro ieri.
Vincitrice di un meritatissimo Oscar come Miglior Attrice Protagonista per la pellicola “Tre manifesti a Ebbing, in Missouri”, Frances MacDormand ha attirato l’attenzione dei media presentandosi alla premiazione struccata e invitando tutte le donne candidate presenti in sala a alzarsi in piedi per condividere simbolicamente la vittoria. Stupisce che nessuno abbia dato troppa importanza alla sua vitale, sgraziata e incurante risata, perché, se è vero che tecnicamente l’attrice ha rilasciato endorfine e ha aumentato il numero delle proprie cellule produttrici degli anticorpi (sì, fra i giovamenti del riso c’è anche questo), noi sappiamo che Frances MacDorman, con quella fragorosa risata, ha fatto molto di più.

Leggi qui la parte 2


Bibliografia:

Iosif Brodiskij, Conversazioni, a cura di C. L. Haven, traduzione di M. Campagnoli, Milano, Adelphi 2015.
Rosa Luxemburg, Lettere 1893-1919, a cura di L. Basso e G. Bonacchi
John Berger, Confabulazioni, a cura e traduzione di M. Nadotti, Vicenza, Neri Pozza, 2017.

 

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