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mercoledì 4 aprile 2018

Festival dei Diritti Umani: il reportage del direttore, Danilo De Biasio

Abbiamo fatto un po’ fatica a spiegare che per parlare del rischio che corre l’umanità intera con i cambiamenti climatici si doveva parlare più di economia che di ecologia.

Al terzo Festival dei Diritti Umani abbiamo scelto quest’anno di occuparci di come la devastazione del pianeta impatti sui diritti umani. Perché ci sono ancor meno di sei gradi di separazione per collegare il pomodoro che hai comprato per pochi centesimi e l’ondata di siccità che nell’Africa Equatoriale ha spinto tante persone a fuggire verso l’Europa.

Qualcuno di loro si è fermato dopo un viaggio infernale nelle campagne della Puglia a raccogliere, pagato una miseria, proprio quel pomodoro che hai comprato. «Tutto è collegato», ha detto con il suo bel italiano colto, parlato con accento veneto/inglese, Kuki Gallmann, la scrittrice che l’anno scorso ha rischiato di morire in un attentato in Kenya: nella sua tenuta ci sono le sorgenti d’acqua che scatenano l’invidia degli allevatori della zona e che armano le loro mani.

E’ un sistema economico da cambiare.

La consapevolezza c’è, forse non soltanto tra le fortunatamente tante persone di buona volontà che agiscono senza aspettare incentivi governativi. Come “E’ nostra” che ha raccontato agli studenti intervenuti al Festival dei Diritti Umani come produrre e usare energia da fonti rinnovabili sia possibile e conveniente. Ma intorno a noi, nello stesso gigantesco condominio chiamato Terra, ci sono 2.500.000.000 persone che non hanno un accesso stabile all’energia “moderna”, come la definisce il professor Pippo Ranci, già Garante dell’Authority per l’energia, che ora si sta impegnando a portarla in alcune zone della Tanzania.

L’energia, ovviamente, è forse il comparto che incide maggiormente sui cambiamenti climatici. Stefano Caserini, che insegna proprio “Mitigazione dei cambiamenti climatici” al Politecnico di Milano non è ottimista né pessimista: «Con l’accordo di Parigi ci siamo impegnati a dimezzare il consumo di combustibili fossili. Se ci riusciremo lo smog diminuirà».

Appunto: “se ci riusciremo”. E nel frattempo?

Detto che non bisogna assolutamente affidarsi a soluzioni salvifiche ma che, invece, occorre cambiare il proprio stile di vita, tutti gli intervenuti al Festival dei Diritti Umani hanno convenuto che ci stiamo avvicinando in una situazione di non ritorno. E neppure gli scienziati più fantasiosi sono in grado di fare previsioni plausibili: ogni variazione climatica scatena reazioni che non si riescono a calcolare.

Per esempio la temuta “invasione” di migranti. Stime convergenti parlano di 18 milioni di persone che l’anno scorso hanno dovuto lasciare le proprie case per fenomeni climatici estremi. E se il riscaldamento della temperatura media continuerà quel numero non potrà che aumentare. Ma dove andranno? Cristina Cattaneo della Fondazione Mattei va controcorrente e sostiene che probabilmente quella massa non “invaderà” mai l’Europa. Per una ragione semplice e tragica: non hanno né i soldi né la forza di farlo. Si limiteranno a spostarsi nei territori vicini, stressando ulteriormente l’economia e la coesione sociale di quelle nazioni provate dal climate change.

Da qualsiasi parte vogliamo affrontare il rapporto devastazione ambientale e diritti umani si ritorna lì, all’economia.

Ridurre l’inquinamento, invertire la tendenza al surriscaldamento del pianeta, coltivare e allevare rispettando l’ecosistema fa bene all’economia e non viceversa. A meno che non si voglia confondere il “bene” con il PIL.

«Non possiamo più aspettare – ha detto Khalid Malik, copresidente del Global Sustainability Forum – dobbiamo migliorare la vita di tutti e mettere al centro le persone».

Grazie prof, noi del Festival dei Diritti Umani da sempre la pensiamo così, ma a volte ci sembra di essere in pochi a crederci davvero. Dopo la terza edizione siamo un po’ più ottimisti.

Foto di Leonardo Brogioni

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