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lunedì 23 aprile 2018

Corporate Barter: un baratto come soluzione di finanza alternativa

E si ritorna alle origini.
Non perché mancano i beni o i servizi (anzi, ce n’è una quantità eccessiva), ma perché manca la moneta o quantomeno non circola.
 Per due motivi: uno ovvio, e cioè che se non ho denaro non lo posso spendere; l’altro di natura psicologica, ossia se ce l’ho lo risparmio in attesa dei tempi difficili che sono nell’aria.
E se la moneta non gira, non crea mercato. E la produzione, di qualsiasi tipo, implode.
 Quindi da qualche anno (Oltreoceano esiste dalla crisi del 1929) si sta sviluppando anche nel nostro Paese tra la comunità delle aziende, soprattutto piccole e medie imprese, un sistema che non produce liquidità, ma che sicuramente ne fa risparmiare tanta: il Corporate barter, una sorta di baratto o meglio di compensazione multilaterale tra aziende che avviene tramite network molto conosciuti sul web in cui si paga una quota associativa che mediamente costa circa il 5% dei movimenti.

Si tratta di uno strumento di pagamento complementare alla moneta tradizionale, una modalità di transazione tra aziende con forma di pagamento in merci e servizi; in altri termini il Corporate barter consente alle aziende che hanno poca liquidità e a cui le banche hanno ridotto o chiuso gli affidamenti di pagare gli acquisti con la vendita dei propri prodotti.
 I dati della Irta (International reciprocal trade association) riportati da Bloomberg stimano negli Stati Uniti un mercato da 12 miliardi dollari all’anno in transazioni che non prevedono scambio di valuta.

A chi si rivolgono i circuiti di Corporate barter?
Soprattutto commercianti con fondi di magazzino che in tal modo hanno il vantaggio di promuovere il proprio invenduto, ma anche fornitori di servizi che non hanno materiale da scambiare e a cui risulta più semplice il do ut des.
 Il baratto tra aziende, come abbiamo detto, è multilaterale, cioè avviene tra soggetti diversi e può essere effettuato al 100% in natura oppure pagando una parte in denaro.
 Lo schema è semplice: A vende a B che vende a C che a sua volta vende ad A; in tal modo il Corporate barter non solo rappresenta una strategia finanziaria anti-crisi, ma anche una forma nuova di marketing per piccole imprese, tra l’altro sempre percorribile, perché permette di allargare il mercato di riferimento delle aziende che arrivano, in tal modo, a intercettare clienti e territori che prima non erano mai riuscite a raggiungere monetizzando prodotti o servizi disponibili o risultanti da una capacità produttiva finora inespressa. 
Al momento dell’ingresso nel network, successivo all’analisi della solvibilità dell’aderente, viene concesso alle aziende un piccolo fido, meglio dire una disponibilità di acquisto (perché non genera interessi di alcun tipo), con cui possono fare le prime transazioni.
 Ogni azienda che aderisce al circuito apre quindi un conto che gestisce la contabilità in entrata e in uscita dei valori corrispondenti alle vendite o agli acquisti. 
Per cui se l’azienda va “a debito” (cioè ha acquistato più di quanto ha venduto) si salda semplicemente, a fine anno, vendendo merce o offrendo un servizio per un importo pari a quanto acquistato.
Se poi l’azienda non vuole rinnovare la quota associativa, si salderà in denaro.
Se invece va a credito (cioè ha venduto più di quanto ha acquistato) quest’ultimo si estingue solo facendo acquisti in barter, in qualsiasi momento e senza alcuna scadenza, e mai convertendo in denaro il credito.
 Ho avuto la fortuna professionale di seguire l’inserimento in un barter di una piccola impresa che produce strumenti di scrittura che ha speso il suo bonus contraendo una assicurazione fabbricata con una azienda associata e poi rivendendo, in compensazione, uno stock di penne come “Christmas gifts” a uno studio di consulenza aziendale.
 L’unico handicap riscontrato sta nella legislazione vigente (in Italia, ovviamente) che limita fortemente una società di barter a dare piena soddisfazione a tutte le richieste di acquisto e vendita di beni e servizi in compensazione multilaterale: tasse (è solo un piccolo passo il baratto amministrativo introdotto con il decreto Sblocca Italia del novembre 2014), utenze e oneri finanziari non sono ancora “barterizzabili”.
Ops. Come mai? Immaginate un po’…

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