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martedì 27 marzo 2018

Quattro parole che curano

Nella mia funzione di manager a krishna.com ho molte attività da svolgere. Mi prendo cura che gli uffici siano puliti, programmo gli orari di servizio, lo stoccaggio degli articoli oltre a tante altre mansioni; quindi le cose interessanti da fare non mi mancano. Una delle cose che devo fare è anche collaborare con chi tiene la contabilità, che proprio oggi mi ha fatto notare che ho dimenticato di sottrarre un credito dall’acquisto fatto da un cliente; si è accorto del mio errore e lo ha corretto da solo.

Mi dispiace” gli ho detto, e poi l’ho ringraziato per la correzione.

Il dire quelle due parole, “scusa” e “grazie” mi ha fatto ricordare una storia vera che ho sentito raccontare qualche anno fa in una conferenza. È una storia avvenuta in un carcere psichiatrico, per il quale era sempre molto difficile trovare uno psichiatra in quanto l’atmosfera era veramente opprimente e si doveva continuamente rimpiazzare il personale. Spesso i detenuti litigavano, l’ultimo psichiatra aveva gettato la spugna e i responsabili del carcere non erano riusciti a trovare nessun altro per sostituirlo.

Quando a una certa persona (di cui non ricordo il nome, ma ricordo solo che era Hawaiano di origine) venne chiesto se voleva accettare il posto di psichiatra presso il carcere, lui disse che avrebbe accettato, ma solo a due condizioni. La prima era che avrebbe dovuto avere un suo ufficio personale con tutta la documentazione di ogni singolo detenuto. La seconda, che non avrebbe incontrato personalmente nessun detenuto. Sembravano delle richieste strane, ma nessun altro si voleva proporre per quell’incarico e così lui ottenne il posto.

Quello che faceva era di sedersi nel suo ufficio, prendere visione della documentazione di un detenuto per volta, leggerla, e poi guardando la foto del detenuto diceva queste quattro semplici frasi, e le ripeteva continuamente:

Scusami…perdonami…grazie… ti voglio bene.

Questa era la sua pratica quotidiana, per otto ore al giorno. Dopo alcune settimane, le persone cominciarono a notare un cambiamento nell’atmosfera del carcere. Le liti tra detenuti erano diminuite. C’era anche una minore frequenza di rimpiazzi tra il personale. I detenuti cominciarono a migliorare il loro comportamento e ad essere rilasciati; qualcosa che non era mai accaduto fino ad allora.

Ogni volta che mi ricordo di questa storia (vera) cerco di mettere in pratica quei principi nella mia vita. Un insegnamento che possiamo trarre è che non c’è bisogno di essere in presenza di qualcuno per avere una grande influenza sulla sua vita. Voi potete pregare per delle persone, e avere fede che Krishna (che a volte è descritto come il Tempo stesso) farà accadere delle cose meravigliose nel loro cuore. Una cosa che mi ha colpito di questa storia è l’assenza di condanna e di parole pesanti. Invece di leggere i vari ‘curriculum’ e pensare:

Io non avrei mai potuto fare una cosa del genere,

il nostro bravo medico aveva trovato un modo per provare empatia per quei criminali. Forse sapeva che in Kali-yuga sia il demone che il devoto convivono in ognuno di noi, e in questo modo aveva capito che quei detenuti erano diventati vittime dei nostri comuni nemici: la lussuria, l’avidità, l’invidia, il lamento e l’illusione. Forse stava dicendo loro:

Mi dispiace, non sono stato capace di fare in modo che voi vi asteniate dal soccombere a queste forze.

In ogni caso, sono stata felice di aver avuto la possibilità di ricordarmi di questo episodio e vi ringrazio per avermi dato la possibilità di condividerlo con voi.

Perdonatemi se ho scritto qualcosa che non vi è piaciuto, io vi voglio bene perché siete parti di Krishna, che spero di poter veramente amare puramente in una di queste vite.

Vegavati devi dasi

(da KRISHNAblogs)

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