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giovedì 15 febbraio 2018

Quanto vale l’economia circolare in Italia

Già, perché se parliamo d’economia e di settori produttivi classici, le valutazioni sul valore ci sono eccome, ma con le nuove economie tutto è molto più complesso. Il valore prodotto annualmente dalla filiera del petrolio, per esempio, è di circa 3.000 miliardi di dollari; volendo esistono anche dati per tutto ciò che viene prodotto sul pianeta. Ma si tratta di conoscenze le cui metodologie di valutazione sono sedimentate da decenni. Il petrolio ha 150 anni di storia, l’auto un secolo.

Chiaro che in questo scenario le nuove economie, come quelle digitali e circolari, che al massimo hanno un paio di decenni di storia, siano molto più “intangibili” sul fronte della valutazione economica. Ma qualche tentativo si può fare. Torniamo, quindi all’economia circolare e nello specifico all’Italia.

Prima di lanciarci nel mondo dei numeri, definiamo il concetto di economia circolare.

Semplice, direte voi. Di economia circolare si parla generalmente quando a una materia destinata alla discarica o all’inceneritore si ridà nuova vita, trasformandola in materia prima.

Tutto giusto. Ma se si parla di valutazioni economiche è necessario circoscriverne l’ambito: valutazioni precise possono esistere solo per quanto riguarda il primo segmento dell’economia circolare: i rifiuti. Vediamoli.

Il primo segmento dell’economia circolare: i rifiuti

Secondo il rapporto WAS di Althesis 2017 il valore della produzione delle prime cento imprese attive nel settore dei rifiuti urbani, per dimensioni, è stato nel 2016 di 7,37 miliardi di Pil. Una cifra che potrebbe sembrare piccola rispetto a tutto il Pil italiano, che è stato nel 2016 di 1.850 miliardi di euro, ma che è significativa, invece, in termini di percentuale: lo 0,4%. E stiamo ragionando solo di Pil, non di tutti i vantaggi in termini di salute e ambiente sui quali ancora non c’è una contabilità precisa. Si tratta di un’economia in crescita che ha luci e ombre.

La raccolta dei rifiuti urbani, infatti, nel 2016 è aumentata dell’1,3%, che se da un lato significa maggiore materia prima/seconda per l’economia circolare, sotto un altro punto di vista vuole dire che stiamo producendo più rifiuti, quando invece dovremmo ridurli.

La situazione ottimale sarebbe quella di un sostanziale equilibrio tra la produzione dei rifiuti e il loro riutilizzo, equilibrio che dovrebbe avere un andamento parallelo di entrambi gli indicatori e tendere al basso, ma che ancora è al di là dal venire, anche perché quella di oggi è un’economia grandemente fondata sullo spreco che riguarda una buona parte del Pil. Però il futuro potrebbe migliorare e lo si vede dai dati. A fronte dell’1,3% di crescita dei rifiuti, il valore prodotto, nel 2016, è aumentato del 3,8%.

E quando il valore aumenta più della materia prima (i rifiuti) in entrata, significa che aumenta la produttività, ossia la capacità di fare le cose con le stesse materie prime. Tradotto: si è lavorato bene. E ciò conferma la leadership dell’Italia nell’economia del riciclo, cosa che ci viene riconosciuta nel mondo, ma non all’interno del nostro Paese

Due i fatti. Il comune di Milano ha tenuto tempo fa una serie d’incontri per “insegnare” ai funzionari del comune di Berlino metodologie e pratiche per la raccolta differenziata dell’umido efficace ed efficiente. Ossia gli italiani insegnano ai tedeschi come si ricicla l’umido. Il secondo fatto è che siamo unici al mondo a produrre una macchina per il riciclo dei pannolini, uno dei rifiuti più complessi da riciclare perché è composto da cellulosa, plastica e organico ad elevata attività batterica. Prima di questa tecnologia il pannolino era destinato senza appello alla discarica.

Si tratta di primati metodologici e tecnologici, ma se ne potrebbero elencare molti altri, che hanno un problema a monte. Nonostante queste eccellenze rimane il vizio tutto italiano di non fare sistema sotto il profilo industriale, anche se però qualche segnale positivo c’è.

Nel 2016, infatti, le 100 maggiori imprese attive nel settore dei rifiuti hanno investito qualcosa come 349,1 milioni di euro per migliorare la filiera ambientale: il 10,1% in più rispetto all’anno precedente. E se si investe questa percentuale a fronte di un incremento del valore del 3,8% significa che il sistema funziona e che ci si crede. E questa è un’ottima notizia.

Ma non mancano i problemi. Da un lato, infatti, è positivo il fatto che la maggioranza degli investimenti, il 51,9%, sia stata fatta negli impianti, perché ciò denota un rafforzamento della filiera; dall’altro lato ciò che preoccupa è la differenza tra le aree geografiche.

Per quanto riguarda gli investimenti la situazione è sempre meno equilibrata. Il 71,5% degli investimenti si concentra al Nord con un aumento del 5,3%, il centro invece è in calo del 7%, essendo passato dal 22% del 2015 al 15% del 2016, mentre il Sud rimane il fanalino di coda con un 5,2% stabile. Il restante 8,4% riguarda investimenti non caratterizzati sotto il profilo geografico specifico.

Significativo il fatto, per esempio, che di fronte a questa situazione, non nuova, il consorzio per la raccolta di carta e cartone, Comieco, abbia concentrato da alcuni anni i propri sforzi proprio sul sud. Con buoni risultati. Un dato su tutti: quello di Napoli. Il capoluogo partenopeo, città dalla logistica complessa con un centro storico caratterizzato da un accesso difficile per i mezzi, è passato dai 31 kg di raccolta per abitante del 2015 ai 39 kg per abitante del 2017: un aumento in due anni del 20%, su una frazione di rifiuto caratterizzata da grandi difficoltà nella raccolta, visto l’ingombro.

Secondo segmento: il riciclo

Oltre all’aspetto legato alla raccolta, dati significativi si riscontrano anche per quanto riguarda il segmento a valle: dopo quello dei rifiuti, infatti, si passa a quello del riciclo vero e proprio, le cui imprese hanno un ruolo sempre più strategico. Questo pezzo della filiera ha prodotto, nel 2016, valore per 2,18 miliardi di euro ed è composto per lo più da piccole e medie imprese private il cui valore medio della produzione è di 19,1 milioni di euro.

Anche qui si registra un forte sbilanciamento nella localizzazione delle aziende a favore del Nord Italia. Il 59% delle imprese del riciclo è in settentrione, il 24% al centro e solo il 17% al Sud. Queste due ultime macro-regioni, quindi, non sfruttano ancora a pieno le potenzialità rappresentate dalle “miniere urbane” dei rifiuti. Sul fronte della struttura industriale delle imprese l’aspetto d’eccellenza che è emerso in precedenza si riflette anche sulla declinazione della filiera.

Ben il 74% delle aziende, infatti, tratta materiali diversi, il che presenta aspetti positivi sia sotto il profilo della produttività, sia dal punto di vista della filiera. In Italia, infatti, è molto diffusa la raccolta multimateriale – plastica, acciaio, alluminio, per esempio – e il fatto che ci siano siti nei quali questi materiali possono essere trattati assieme favorisce le economie di scala e la produttività, abbassando i costi del riciclo e rendendo la materia prima seconda più competitiva. Fatto dimostrato da una maggiore aggregazione delle imprese.

Nel 2016, infatti, vi sono state significative acquisizioni e aggregazioni territoriali che hanno ridotto la frammentazione del settore razionalizzandolo. Si tratta di fenomeni che nei prossimi anni faranno fare il salto di qualità al settore del riciclo in Italia. Le dinamiche degli ultimi anni dimostrano che quest’economia si sta avvicinando alle logiche di mercato, abbandonando quelle legate alla pianificazione territoriale. Tradotto: l’economia del riciclo si sta trasformando da obbligo per motivi ambientali a logica di mercato dove contano i dati economici. E ciò è un bene. Spieghiamoci meglio: da problema legato alle questioni ambientali, come è stato negli ultimi venti anni, il ciclo dei rifiuti sta diventando un’opportunità per le imprese. Ciò ha due, benefici, effetti. Il primo è quello di alleggerire il costo della gestione dei rifiuti per i cittadini e le istituzioni, visto che una parte sempre maggiore dei costi possono essere “assorbiti” dal valore prodotto nelle filiere industriali che usano il materiale proveniente dal riciclo. Il secondo è l’autonomia della crescita del riciclo: una volta raggiunte le giuste economie di scala, infatti, il mercato delle materie prime/seconde si sviluppa da sé, creando le condizioni per una crescita. Che fa bene a tutti. Cittadini, paese e, specialmente, all’ambiente.

Altre fonti:
http://www.althesys.com/
http://www.materiarinnovabile.it/

 




 

Esempi di economia circolare. Foto di Armando Tondo scattate durante l’edizione di “Fa la cosa giusta!” tenutasi a Bastia Umbra a Ottobre 2017

 

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